01.01.2017 – Primo Giorno dell’Anno

IL VOLTO, LA BENEDIZIONE, LA PROMESSA

I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto”: i Pastori si fanno annunciatori di lode e di ringraziamento per tutti gli uomini. Lodano Dio e nello stesso tempo lo raccontano: in fondo essi dicono il bene che hanno ricevuto e a loro volta narrano e consegnano questo stesso bene agli altri. Dicono bene di Dio perché Dio ha detto loro il suo bene; ora essi dicono bene agli uomini e dicono bene di loro poiché il dono di Dio è per tutti.

 

Benedire è dire-bene

L’anno nuovo si apre con le parole della benedizione: Ti benedica il Signore

e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace (Nm 6,22-27). La benedizione è, dunque, un atto primariamente di Dio, ma è anche un atto dell’uomo. Anzitutto esso è l’atto in cui Dio volge il suo sguardo verso di noi: Dio si china sull’uomo e in questo curvarsi su di noi Egli non solo rivela il suo atto d’amore per ciò che siamo, bensì rivive il suo stesso abbassamento, la sua spogliazione, la sua kenosi che abbiamo conosciuto nell’Incarnazione del bambino Gesù a Betlemme. E così Dio si fa ancora dono a ciascuno di noi consegnandosi a noi in modo audace, fidandosi di noi e affidandosi a noi, sapendo che in noi sempre vive la lotta tra il bene che vorremmo fare e il male che non dovremmo distribuire. Egli, infatti, ha già seminato in noi l’Immagine del suo Figlio nel momento del Battesimo. Così Dio volge il suo sguardo: Dio ci benedice anzitutto perché Egli guarda la nostra vita, la nostra esistenza, ciò che siamo lì dove ci troviamo, vede a che punto siamo e fin dove siamo arrivati. Solo allora formula la benedizione, cioè consegna la sua parola che può dire bene di noi: Dio, infatti, ci bene-dice quando dice-bene di noi, cioè quando la sua Parola trova in noi il giusto posto. Ecco perché il suo dire-bene non è congratularsi con noi per ciò che facciamo o per ciò che siamo, piuttosto dice-bene di noi perché gli apriamo la nostra vita, lasciamo che Egli entri nelle nostre storie, facciamo in modo tale che nella sua Parola troviamo quella forza di fare scelte giuste e buone che si rendono visibili attraverso opere che stanno sempre sotto gli occhi di tutti. Insomma Dio non smette di essere autenticamente se stesso con noi: Egli non volge le spalle a nessuno di noi, ma china il suo volto verso la nostra povera ma bella umanità. E ci bene-dice. Così ciascuno di noi è chiamato ad essere benedizione per altri; così anche per ciascuno di noi bene-dire è dire-bene di altri. E qui entra in gioco la nostra povertà e il nostro peccato. Certo, non è sempre facile dire-bene di altri per il loro stile, per il loro comportamento, per le scelte che vediamo coi nostri occhi, per le parole che ascoltiamo, per le intenzioni della mente e del cuore che si rivelano ostili, per i fraintendimenti che nascono. È vero alcuni purtroppo non offrono altre occasioni, alcuni sono muri elevati che non si lasciano scalfire: alcuni, infatti, fanno fatica a far parlare bene di loro stessi. Insomma, ci sono seri motivi per non dire-bene della vita di qualcuno, motivi che noi riteniamo sufficientemente validi per arroccarci sulle nostre posizioni senza scostarci da lì, senza smuoverci, senza abbassarci. Eppure anche lì qualcosa può cambiare. Anzi, forse deve cambiare. Perché così è stato dei Pastori che, nonostante tutto, a loro Dio ha affidato la parola di benedizione per tutti. Certamente anche a chi non era interessato alla cosa. Dire-bene è dunque un impegno, uno sforzo che impegna la relazione, impegna seriamente le intenzioni e le parole, impegna a rivedere se stessi e a riconsiderare l’altro. Bene-dire è come dare una possibilità a sé, e ricominciare, ritrovare il coraggio che sta proprio nella propria abnegazione e che permette di ridare all’altro il giusto posto nella storia. Dunque, all’inizio del nuovo anno, incominciare, dare un inizio, è un verbo che non è riferito al tempo, bensì all’uomo.

 

Promessa e pre-messa

E l’anno nuovo inizia sempre con parole buone, parole che vogliono rivelare intenzioni buone: ma l’anno sarà buono se ciascuno di noi fin da oggi si impegna a vivere nella bontà di Dio che apre se stessi ad una rinnovata umanità verso gli altri nella fraternità e nella cordialità. Le promesse hanno bisogno sì di parole buone, di gesti attenti, di spazi di cordialità, di momenti di ascolto, di tempi da donare. Ma è anche vero che se ogni promessa non ha in sé una pre-messa, ciascuno di noi fallirà immediatamente. Allora in questi giorni auguriamoci gli uni gli altri di vivere un anno buono, e in quell’augurio vi sono già in germe le intenzioni buone che colui che le augura già promette di viverle. Facciamo in modo che nel tempo di tutto il 2017 ciascuno di noi ricordi bene che le sue parole di promessa hanno bisogno di trovare radicata nella propria interiorità toccata dalla Parola di Dio ogni promessa: così per cui ogni parola detta all’altro è la stessa parola che Dio rivolge a noi quando ci benedice, cioè quando dice-bene di noi.