19.08.’18 – XX^ dom TO

IN GESU’, PANE DELLA VITA, DIO SI FA SPAZIO NELLA NOSTRA UMANITA’

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dal vangelo di Giovanni (6,51-58)
In quel tempo Gesù disse si suoi discepoli: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Introduzione

Entriamo decisamente nel vissuto della nostra esperienza di fede: sostengo da sempre che dire di “credere in Dio” o di “non credere in Lui” in fondo non cambia nulla al proprio statuto di uomo o di donna. L’esperienza della fede cristiana non può accontentarsi di un “credere” qualunque, quasi che Dio stia alle nostre dipendenze, alle nostre volontà, ai nostri bisogni di turno, anche se di fatto per molti di noi cristiani ormai lo abbiamo ridotto a questo. La fede cristiana chiede anzitutto di fare i conti con una relazione: “all’inizio della nostra fede c’è un incontro” (Benedetto XVI – Francesco) e da questo incontro che nasce una relazione che chiede di essere vissuta, approfondita, costantemente alimentata, ricercata. Possiamo dire di credere in Dio solo se abbiamo compreso chi sia Gesù e cosa la sua umanità ci abbia rivelato, svelato e fatto conoscere. Sembra un controsenso, ma oggi siamo più capaci di credere in dio (secondo le modalità dette prima) piuttosto che credere alle parole di Gesù e a quanto Egli ci chiede. Perché, che lo volgiamo o no, noi possiamo dire di credere in Dio se crediamo che quell’uomo Gesù è il Figlio di Dio. Nessuno si può inventare un Dio a proprio piacimento, perché è Gesù a svelarcelo e a farlo conoscere.

L’umanità di Gesù: la sua carne

L’evangelista Giovanni ci fa sostare molto tempo sul suo discorso sul Pane della Vita che Gesù sta facendo al suo popolo: Gesù si presenta in un momento difficile per il popolo di Israele e per la cultura spirituale del tempo: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno». Sono urtanti le parole di Gesù anzitutto perché afferma di venire dal cielo quando ha una corporeità umana, fisica, naturale come la nostra. A questo aggiunge anche «chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» andando contro la legge antica del Levitico che affermava che “bere il sangue” era un abominio (Lv 17,10). Insomma, Gesù sta affermando che nessuno può arrivare a Dio se non perché è Dio a farsi vicino a noi, andando contro ogni forma di religiosità pagana del tempo e di tutti i tempi; a questo aggiunge che non solo Dio si fa vicino, ma anche “dimora” in noi, entra nella nostra vita non come uno che si mette a fianco, ma come chi sta dentro la nostra più intima profonda interiorità, dentro alle nostre storie, dentro i meandri delle nostre vicende. Ecco perché Egli si fa cibo, perché Lui possa dimorare in me.

Gesù è il pane che nutre la nostra umanità

Il discorso di Gesù ci riporta al giusto rapporto con Dio: Egli sta, vive, dimora e resta in noi e ci è indispensabile come il cibo lo è per la nostra esistenza. È Dio che nel Pane di Vita ci raggiunge lì dove siamo; è Dio che per mezzo del Pane consacrato trasforma il nostro corpo nel suo corpo, ci rinnova come figli e ci rinsalda come Chiesa. Insomma è Dio che si fa uomo in Gesù perché l’uomo possa andare a Dio. Ecco come comprendere le parole di Gesù «colui che mangia me vivrà per me»: nutrirsi del Pane di Vita significa per assurdo lasciare che Dio dimori in me. Ed è da questo dimorare divino che prende forma la nostra esistenza di carne e di spirito.