10.02.’18 – V^dom TO

RISALIRE DAGLI ABISSI DEI FALLIMENTI

fallimento

dal Vangelo di Luca (5,1-11)
In quel tempo, mentre la folla faceva ressa attorno a Gesù per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Introduzione

Nessun uomo e nessuna donna sono esenti dal fallimento. Anzi, se abbiamo il coraggio di fare un esame profondo di noi stessi ci accorgiamo di come i fallimenti siano molteplici; fallimenti che interessano diversi aspetti della propria vita: per qualcuno vi è l’insoddisfazione del lavoro, per qualcun altro la vita di famiglia lacerata da divisioni e discordie, per altri ancora alcune relazioni di amicizia, stima, rispetto sono state messe in standby se non addirittura rovinate e coperte di fango. Fino ad arrivare alla delusione di sé: il fallimento più grande di un’esistenza. “Fallère”, in latino “ingannare”: il fallimento, in fondo, è l’inganno della troppa sicurezza di sé e della certezza che nessuna cosa possa essere gestita meglio di come l’avremmo gestita noi; è l’esclusione della parola e del volto dell’altro. È un’esperienza che tocca tutto il nostro essere: il fallimento rivela a noi stessi l’incapacità di essere stati significativi per noi stessi e per altri. Esso ha la potenza di farci sprofondare nel nostro abisso nel tentativo di trovare un perché a ciò che ci accade, a ciò che è successo e che in un certo mondo ha trasformato la mia vita o che le sta chiedendo una svolta. Nessuno di noi è neutrale: tutti restiamo feriti, demoralizzati, angosciati, colpiti dai nostri stessi fallimenti. E ci sentiamo come Pietro che ha «faticato tutta la notte e non ha preso nulla».

Vincere il fallimento: la fiducia

C’è una virtù che permette al fallimento di non rovinare la propria vita: è la virtù della fiducia, che in sé ha la radice della fides (fede). «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca»: è la parola decisiva di Gesù al fallimento di Pietro e dei suoi compagni. Una fiducia che deve fare i conti con due provocazioni: la prima è per l’uomo-Simone, per cui Gesù, figlio di un carpentiere, chiede a dei pescatori di gettare le reti di giorno, e la pesca è miracolosa che «presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano»; la seconda provocazione è per il credente-Pietro poiché Gesù «insegnava alle folle dalla barca», stava già seminando la sua Parola di grazia e «sulla tua parola getterò le reti». È la Parola del Dio vivente che apre la profondità del cuore di Pietro tanto da fargli esclamare «allontànati da me, perché sono un peccatore», così come apre quella del profeta Isaia «sono un uomo dalle labbra impure». Ma oggi dobbiamo chiederci se non sia così anche per noi: cosa significa che le scelte del mio operato, della mia vita, della mia storia sono fondate sulla Parola di Gesù?

Duc in altum” per salvarne altri

«Prendi il largo», in latino “duc in altum”. Gesù conduce Pietro dentro il suo stesso fallimento, lo fa rientrare dentro di sé e gli fa comprendere di essere manchevole, troppo orgoglioso. E quando si dimenticherà di essere peccatore glielo ricorderà il gallo che canterà tre volte. La parola di Gesù purifica il fallimento, fa uscire dal peccato solo se ci si mette in suo ascolto e, senza sindacare, si vede in quella Parola tutte le parole che noi non abbiamo saputo dire. Se in questa Parola siamo salvati dai nostri fallimenti, allora «diventare pescatori di uomini» significa per Pietro e per noi, oggi, salvare altri dagli abissi dei loro fallimenti e del male. Solo così si diventa discepoli e Chiesa: «e lasciate le barche, lo seguirono».