III^ domenica T.O. 25.01.’15

La Grazia di Dio e le ombre delle nostre quotidianità

ombreDal Vangelo di Marco  (1,14-20)
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Ogni storia ha un inizio. Compresa la nostra storia

Quante volte viviamo dentro i ricordi dei nostri inizi: alcuni ci sono stati raccontati come la nascita, i primi passi, le prime parole, altri invece, grazie alla nostra consapevolezza li ricordiamo perché li abbiamo vissuti in prima persona e hanno segnato la nostra memoria. Abbiamo gli inizi della nostra storia, ma anche i tanti inizi di molte nostre storie che oggi hanno definito non solo il nostro carattere ma hanno segnato anche gli orizzonti delle nostre scelte. E quando torniamo indietro, in fondo altro non facciamo che tornare dentro di noi: alcune parole non le diremmo più, altre scelte le faremmo diversamente. Oppure sentiamo il rammarico di non aver fatto qualcosa che potevamo fare, o dire cose che abbiamo taciuto. Questi inizi, in fondo altro non dicono che la nostra vocazione: la nostra storia è rispondere a qualcosa che abbiamo dentro e che ci invita a darle una forma. La vocazione, credo, non può essere altro che la realizzazione della propria esistenza per cui non c’è altra forma che quella che intraprendo, lavorando anzitutto su me stesso e rispondendo a quella chiamata divina che mi chiede di impegnarmi a realizzarla. Causa di una vocazione maldestra è la negligenza e l’accidia: «alzàti e va’…si alzò e andò». C’è un inizio, c’è una strada.

Non c’è tempo da perdere

Negligenza e accidia sono i tarli di una vita segnata dall’assenza di ascolto: quante volte il nome di un figlio è sulle labbra di un padre e di una madre? Ma così è anche nella storia delle nostre relazioni tra adulti: pensiamo alle relazioni sociali che si macchiano di sole pretese; quelle politiche che si impregnano di soli diritti; quelle religiose che si nascondono dietro un magico velo di fanatismo. Tutte in comune hanno il silenzio, la non-risposta, o meglio la risposta come una realizzazione fatta da sé. Eppure Gesù ci racconta di un Dio che passa, cammina sulle strade della quotidianità, e chiama con un imperativo, cioè senza possibilità di ribattere, di indugio: «vieni dietro a me». Non c’è tempo per pensare se realizzare la vita o gettarla via: c’è urgenza di dare una risposta. Cosa ne abbiamo fatto della nostra storia? Chi o cosa siamo diventati? Dietro a chi ci siamo incamminati? Opiso mu: seguire qualcuno significa mettersi in suo ascolto. Da questo ascolto nascerà un nuovo inizio.

Ci interroghiamo: chiamati, ma sordi. Di che vantarci?

C’è bisogno di tornare a mettersi in ascolto della propria storia per rivedere il suo inizio e renderci conto di dove siamo arrivati: abbiamo attraversato un tempo, più o meno lungo e come lo abbiamo vissuto? Possiamo definirci uomini, donne ragazzi che vivono stando dietro a qualcuno, un maestro saggio e buono, oppure siamo in ascolto di noi stessi, delle nostre pretese, delle nostre ombre. «Vi farò pescatori di uomini»: Dio è così, passa nella nostra quotidianità e la trasforma, la rinnova fino a che la nostra vita è vita con altri e per altri. Quanto tempo abbiamo perso?