XXXIV dom. T.O. CRISTO RE DELL’UNIVERSO; 23.11.’14

PASTORE E GREGGE: LO SPHRAGHIS (sigillo) DELLA CARITA'

spina1L’ingiustizia come distanza tra gli uomini

Chi definisce cosa sia giusto e cosa no? Unica è la risposta anche se con una duplice sfaccettatura: il bene, quello personale e il bene di tutti. Forse, coi tempi che corrono, abbiamo sbilanciato l’ago del giudizio sul versante unicamente personale e impegnandoci a far configurare (e quindi convincere) che le scelte personali sono uniche, vere e da rispettare. Nessuno può ledere i diritti personali, ma se sono della persona allora sono anche di tutta l’umanità. Certo, ma se le scelte anche personali non sono per il bene di tutti (o per chi mi circonda) allora inizia la grande attraversata dei cadaveri che si creeranno sul proprio cammino. Sì, perché ci si uccide gli uni gli altri con le intenzioni, con le accuse, con le controdimostrazioni, finanche con gli sguardi, pur di affermare qualcosa di sé e dire che l’altro ha sempre torto, o se ha ragione, comunque si è espresso male. Ma ci si accorge che tutto ciò genera una distanza tra tutti? Non comunione, ma siamo ridotti a convivenze; non sinergie di intenti, ma imponiamo giustapposizioni di idee più o meno da tollerare, quando da rifiutare. E così ci si rende distanti, ci si disperde. Non ci si incontra perché non ci si cerca e non ci si conosce più gli uni gli altri. Quanta dolcezza invece nell’immagine del pastore della profezia che «passerà in rassega le sue pecore, che le radunerà da tutti i luoghi dove si erano disperse». Una giustizia personale per il bene di tutti e così «fascerà la ferita e avrà cura di quella malata».

Il giudizio divino è la carità

E così se non c’è unità c’è discordia, distanza, cattiveria: ma proprio su questo interverrà il giudizio divino e, come notiamo, senza alcun processo ma attraversati da una parola di verità «ero…ero…ero»: questo verbo dell’esistenza divina tra noi uomini è coniugato in un tempo al passato, ma viene dal futuro, «quando il Figlio dell’Uomo verrà». Il giudizio è sulla storia di ciascuno perché Egli, pastore Eterno, «passa in rassegna tutte le sue pecore» e le separa, le divide, le filtra, le attraversa col dito divino e la giudica con il fiato dello Spirito, quello Spirito che sigilla col suo sphraghìs (sigillo) per l’eternità. Non deve far paura il giudizio divino: piuttosto dobbiamo interrogarci su una vita che attraversiamo costruendo e vivendo continui processi gli uni gli altri. Processi che non fanno più riconoscere chi siamo gli uni per gli altri al punto da dire a difesa personale «quando mai…e non ti abbiamo assistito?». E la risposta è la carità, perché «non mi avete assistito».

L’altro è Cristo nel fratello: e noi lo sappiamo

Ogni altro è diverso da me, è differente, è per sua natura distante: a volte è amico, fratello, sostegno, conforto, speranza; a volte è minaccia, sospetto, dubbio, angoscia. Il giudizio divino non sarà sui sentimenti ma sullo stile di vita vissuto: la carità sarà l’ultima parola di verità su di noi che rivelerà a noi stessi chi siamo stati nella nostra vita, portandoci fuori da ogni illusione e da ogni nostra ragione e giustizia personale, quando ci sentiremo dire «in verità io ti dico». Così Gesù, il Pastore buono, chiede di essere servito: nell’altro, perché dice l’apostolo Paolo «solo la carità può annientare il grande nemico in noi, la morte». Quella del cuore. E a seguire, quella del fratello, vero sacramento di carità per Gesù.