Primo Giorno dell’Anno 2015

BENEDIRE: DIO DICE-BENE DI NOI NELLA MISURA IN CUI NOI DICIAMO BENE DELL'UOMO

sguardoLo sguardo di Dio è benedizione

Dopo il canto solenne del Te Deum dell’ultimo giorno dell’anno in cui i cristiani hanno confermato la fede in Dio nel confitemur, cioè nella confessione di lode dell’unica fede in Dio Padre, ecco ora entrare nel nuovo anno sotto il segno della benedizione divina. Sì, perché non è sufficiente scambiarci gli uni gli altri gli auguri dell’anno nuovo se non facciamo ricadere su di noi lo sguardo benevolo di Dio. Abbiamo bisogno che Dio ci guardi, che Dio Padre riversi su di noi il suo flatus perché solo in questo sguardo possiamo riscoprirci figli e quindi fratelli. Dio non ha bisogno della benedizione dell’uomo così come si prega nel Prefazio Comune IV “i nostri inni non accrescono la tua grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva”, tuttavia l’uomo, ognuno di noi, ha bisogno di invocare, cercare Dio affinché Egli si chini amorevolmente su di lui saziandolo della sua misericordia. Avessimo più coscienza di un Dio che ci accompagna dalla sua Eternità fin dentro alla nostra storia dove si intrecciano attese e speranze, fragilità e certezze, peccato e grazia, fin dentro al nostro tempo che ha un inizio e una fine, ma che in ogni istante gode di questa premura di Dio su di noi, dall’inizio alla fine.

Dio e noi: lo spazio della benedizione

Allora ha senso all’inizio dell’anno rinnovare nella memoria il bene che Dio ha verso l’uomo, verso ciascuno di noi, verso di me: siamo sua immagine dentro i meandri della nostra vita; siamo sua immagine anche quando siamo attraversati o attraversiamo il peccato; siamo sua immagine anche quando gli voltiamo le spalle, lo tradiamo, lo rinneghiamo, lo barattiamo per un nonnulla. Dio ci benedice perché guardandoci può dire-bene di noi, che siamo sua creatura fin dal momento in cui entriamo nel mondo e ancor più figli nella grazia del battesimo. Certo a noi resta la domanda: può Dio dire-bene sempre di me? Volgendo lo sguardo su di me, può Dio sentire la pienezza della sua paternità? Entrando nel profondo del mio intimo, può Dio trovare una casa da abitare e risiedere? Credo che, con un’immagine molto umana, troppe volte rischiamo di deludere Dio, ferendolo fin dentro la sua eternità quando distruggiamo la nostra stessa umanità, quando tradiamo il fratello, quando l’orgoglio diventa potere e occasione per schiacciare l’altro e dire-male di lui.

Dire-bene: uno sguardo differente gli uni gli altri

Abbiamo bisogno di tornare a benedirci gli uni gli altri, cioè a dire-bene di noi, fra di noi, lasciando le parole del giudizio, della presunzione, della cattiveria perché la benedizione è una consegna, è un testamento così come il padre verso il figlio, e nella benedizione custodire il volto e la storia dell’altro, averne cura perché lo si ha nel cuore: “Ti benedica il Signore e ti custodisca, faccia risplendere per te il suo volto e ti dia grazia”: così il sacerdote benediceva il popolo, così il padre benedice il figlio, così ognuno può dire-bene dell’altro. E nella benedizione c’è la pace: primo dono di Dio nel Bambino di Betlemme, primo dono del Risorto all’umanità. La pace non è un quieto vivere, ma è lo sguardo amorevole che l’umanità ha verso se stessa, perché guardata da Dio. Da sempre.